Paolo Nanni – Comunicatore Socio Sanitario-Culturale
Direttore artistico Red

“Se la pensate così, allora toglietemi l’amicizia”. Chiunque stia nei social network con una certa assiduità si è prima o poi imbattuto in una affermazione simile. O ne è stato autore. Per via di una convinzione politica, o sociale, su un tema particolarmente sensibile, che ci vede schierati da una certa parte, di più: non riteniamo possibile che una persona assennata possa stare dall’altra.

Facciamo un test: cerchiamo su Facebook la pagina fan del personaggio che meno riteniamo degno di stima – politico, cantante o giornalista che sia – osserviamo sulla destra i “mi piace” lasciati dai nostri “amici”. Ci troveremo nomi che mai avremmo creduto, né voluto. Altri che invece forse c’aspettavamo.

Che brutta sensazione vero? Ci viene voglia di togliere loro l’amicizia. Perché? Perché se sono così cretini da stimare quel personaggio, tanto vale starci lontano.

Ma se togliamo “l’amicizia” o blocchiamo qualcuno per divergenze di vedute, per un litigio online, non facciamo solo un dispetto all’altro, ma anche a noi stessi, perché andremo ad amplificare un fenomeno già in atto su ogni nostro profilo social: il cosiddetto effetto Camera d’eco, che, appunto, fa sentire l’eco delle nostre opinioni.

In Google, Facebook e nelle altre piattaforme dove siamo iscritti agiscono algoritmi che ci restituiscono in modo costante le cose verso cui abbiamo mostrato apprezzamento, siano esse prodotti o posizioni politiche, persone o notizie.

Esempio di profilazione: tanto più mostreremo di amare la cucina nelle nostre ricerche, su motori di ricerca o su pagine social, tanto più il nostro facebook pullulerà di post con ricette o ristoranti o pentole. Tanto più commenterò e reagirò ai post di un certo contatto, proporzionalmente i suoi futuri post saranno messi in evidenza per me, mentre quelli di altre persone spariranno del tutto.

Per contrastare l’effetto camera d’eco dovrei tenere quanto più ampio possibile il menù di temi, il range di opinioni, per fastidiose che siano. In alternativa posso adagiarmi nella camera d’eco. Per qualcuno può non essere un problema, anzi un vantaggio. Ma il non dover avere a che fare con opinioni contrastanti, preferendo la tranquillità emotiva delle conferme, e non ritenendo la sconferma una forma di ricchezza, ci può portare a una visione distorta di comunità: se rimango circondato da persone che la pensano come me non riuscirò a concepire quanti la pensano in un altro modo, né, soprattutto, perché.

Mi rimarrà una visione superficiale o pregiudiziale del mondo esterno alla mia camera d’eco. Questo è sempre uno svantaggio, perché deprime la capacità di empatia e analisi, ci porta a valutazioni sistemiche sballate e alla completa ignoranza di fenomeni sociali rilevanti poiché esterni alla nostra bolla.

Inoltre ci rende più permeabili alle fake news, il cui successo è in gran parte legato alla tendenza tipica della camera d’eco, di dare attenzione e credito alle notizie che confermano le nostre idee, non a quelle che le smentiscono.

Ciò determina anche la tipica polarizzazione nelle discussioni sui social network, un fenomeno di cui siamo testimoni ogni giorno: se per caso o per volontà mi metto a discutere con qualcuno nei social, difficilmente il dialogo evolve in modo costruttivo, più spesso volge verso una contrapposizione sterile.

E che c’entra l’omologazione? l’omologazione c’entra perché la distanza ideologica è più apparente che reale, cioè il massimo comune denominatore tra persone che sembrano radicalmente differenti, addirittura contrapposte, è invece rilevante: l’esperienza di consumo e lo stile di vita sono il medesimo, le idee volano astratte nella camera d’eco, ognuno ha cioè la sua bolla di conferme, intanto che nel profondo e nel quotidiano siamo sempre più uguali e appiattiti. .